Petit Lion. Ici ce n’est pas les Marolles.

I Peggiori Bar inizia aggirandosi tra le anime solitarie che abitano, più da inquilini che da clienti, il numero 232 di Rue Haute: il Petit Lion. Siamo a Bruxelles, ma potremmo essere a Marsiglia, a Losanna, o perché no a Caracas. Google maps a questo punto vi avrà comunicato il quartiere di riferimento, ma dimenticate per una notte la vostra geografia delle Marolles, mettete da parte il mercato delle pulci di Place Jeu de Balle, evitate i negozi vintage, i vestiti al chilo, le jazz session accompagnate da succulenti carbonade. Il Petit Lion è il luogo perfetto per il dopo lavoro (o la sua ricerca) di una giornata che volete assolutamente dimenticare, essenziale come la coperta intrisa di calore nella vostra stanza solitaria.

Un petit lion soreveglia il tabellone delle freccette. ph. Alessia Capasso / I peggiori Bar
Freccette, trofei e pittura fiamminga. ph. Alessia Capasso / I peggiori Bar

Una volta entrati, prima di sederci ai tavoli in legno massello, siamo storditi dal kitsch delle insegne fluorescenti. Nella sala posteriore, si gioca a freccette accanendosi contro un tabellone consumato da polvere e ruggine. Il contemporaneo qui si è fermato agli anni ottanta. Un bancone in mattoni, color periferia di Glasgow, è l’accesso al mondo delle bières: dalla Maes alla triple Westmalle. Il paradiso del luppolo alla belga qui è alla portata anche di tasche amareggiate dalla crisi e dalla fine dello stage. Non ci lasciamo intimorire dall’aria solitaria, che sfiora talvolta la disperazione, dei volti assorti che abbiamo di fronte. Alle sette di sera, gli habitué del Petit Lion sono già alla settima stella artois. Qualcuno è scappato dalla prigione domestica con la scusa di fare la spesa, qualcun altro arriva con tutta la famiglia indifferente all’aria del tutto malsana che si respira qui dentro. Una scelta che nostra madre, in nome dell’igiene e della salubrità, troverebbe riprovevole.

Fervide discussioni. ph. Alessia Capasso / I peggiori Bar
Discussioni animate. ph. Alessia Capasso / I peggiori Bar

Ad alta voce si discute di differenze tra voyeurismo e giornalismo, se ancora ha senso parlare di comunismo. Uno svizzero, scappato alla leva e che definisce, senza troppe remore, ‘puttana’ la figlia (come se dicesse “dottoressa” o “avvocato”), si alterna a un algerino, che si è consumato le mani di fatica prima di essere salvato (o seppellito) dallo chômage. Vi sfidiamo a trovare tra gli hipster e i bobò del Parvis chiacchiere dello stesso livello di quelle offerte alle nostre orecchie da Jean, Arsene e Paul. I nostri vicini di tavolo, per quanto ubriachi, sostengono discorsi argomentati, precisi, sudati, rauchi. Certo poteva andarci peggio. Come quella volta che un personaggio alla braccio di ferro, alto e massiccio, con un orecchino che gli sbrilluccicava sul lato destro della nuca, sorridendoci, ci ha colpito con una gomitata per averlo sfiorato con la sedia. Se dovesse capitare anche a voi, accettate un suggerimento: ricambiate la gomitata con un bel sorriso. Non si tratta di porgere l’altra guancia, ma di uscirne integri. 

Cathy spilla le nostre birre. ph. Alessia Capasso / I peggiori Bar
Cathy versa le nostre birre. ph. Alessia Capasso / I peggiori Bar

Ci assale la voglia di rullare e accendere una sigaretta, e qui non è un problema. Anzi la cameriera più adorabile di tutta Bruxelles ci offre un posacenere prima di sentirne l’esigenza. Non importa se per voi sia la prima birra della giornata oppure l’ultima, Cathy ha un racconto, un lamento, un dettaglio, un sorriso, che vi apre le porte di un mondo che non avreste scoperto altrimenti. E sentitevi fortunati quando vi accoglie in infradito. È lei che gestisce questo bar da almeno un decennio. Incastonato tra la Chapelle e Porte de Hal dai primi anni ’40, il Petit Lion ha deciso di non seguire la gentrificazione delle Marolles. È diventato spontaneamente il simbolo di una resistenza all’urbanizzazione sconsiderata degli ultimi trent’anni e testimone (inconsapevole) di un altro tempo e un altro modo di vivere. Ici ce n’est pas les Marolles” – ci tiene a precisare Cathy, rivelando che ogni strada qui vive della sua storicità, originalità e autonomia. Quando le chiediamo se il quartiere è cambiato negli anni risponde: “Si un po’ è diverso, prima c’erano soprattutto brocante e negozi di abiti di seconda mano. Adesso ci passa gente con più soldi (tra gallerie d’arte e negozi vintage, ndr) ma i nostri clienti non sono turisti. Sono soprattutto persone del quartiere”.  E smonta la vecchia fama che voleva le Marolles come quartiere violento: “Non è mai stato pericoloso. Gli uomini si picchiavano per strada, è vero – ammette tranquilla – ma poi si finiva insieme a bere una birra”. L’ultima lotta di quartiere, a suon di firme anziché di cazzotti, è stata contro il megaparcheggio che il bourgmastre voleva installare al posto del mercato di Jeu de Balle. Una battaglia vinta, per ora. Sentendosi trascurati da Cathy, le voci di Jean, Arsene e Paul si levano con prepotenza. È l’ora del conto, altrimenti si rischia di non rientrare affatto. 

In alto i calici, al Petit Lion è sempre tempo di bere e di ruggire.

Un pensiero su “Petit Lion. Ici ce n’est pas les Marolles.

  1. Conosco il Quartiere Marolles dal 1960 (anno che risiedo a Bruxelles) vado spesso ancora oggi,sopratutto a rue de Renard al Ristorante le 3 chicons,la tipica cucina Belga da Mr Alain Fayt, ci porto spesso i nostri connazionale; . Vicinissimo da Tony (quarta generazione origine Abruzzese) un bistrot che ci fa pensare a un foubourg Parisienne…..

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